Tra i freaks dell’Ottocento e gli ologrammi del Ventunesimo secolo c’è la caleidoscopica storia del circo. Specchio della società, luogo di incanto e al tempo stesso oggetto di polemiche, il circo è da sempre un tema caro ai fotografi, stimolati dall’urgenza di esplorarne le dinamiche dall’interno. Meraviglie presenta è il titolo del progetto con cui Chiara Innocenti, dal 2022, conduce il suo personale e accurato studio sul circo e sulla sua evoluzione nel tempo.
L’autrice ha ottenuto la Menzione d’onore del Premio Nazionale Musa per donne fotografe 2023 –concorso che valorizza la fotografia femminile sul territorio italiano – ed è stata selezionata dalla nostra redazione come vincitrice del Premio FOTO Cult nell’ambito dello stesso concorso. Abbiamo intervistato la fotografa di origini toscane a proposito del suo lavoro.
Nella presentazione di Meraviglie presenta parli di trasformazioni e adattamenti del circo a gusto e morale della società nel corso delle varie epoche. Faresti qualche esempio?
L’esempio più immediato risale alla fine del 1800 quando nei circhi erano di gran moda i ‘freaks’, uomini e donne con varie deformità o malattie rare che si esibivano come fenomeni da baraccone diventando delle vere e proprie star del loro tempo, come nel caso del Barnum & Bailey Circus. Oggi quel tipo di spettacolo sarebbe impensabile, tacciato di immoralità e assurdità. Pagheremmo per andare a vedere una donna senza braccia e gambe, i gemelli siamesi o la donna scimmia?
Negli anni ’50 e ’70 del 1900, invece, la figura centrale del circo è diventata quella del domatore di ‘belve feroci’, un eroe senza paura, che metteva in scena esercizi via via più complessi e mostrava animali umanizzati, costretti cioè a svolgere attività come andare in bicicletta o indossare vestiti. Come esempi possiamo citare il leggendario Darix Togni vestito da gladiatore, le esibizioni di grandi gruppi di animali dei rinomati circhi di Bruno e Willy Togni, o il complesso di Liana, Nando e Rinaldo Orfei. Il pubblico, figlio di una società antropocentrica, si immedesimava con il domatore, che in un certo senso rappresentava la vittoria e la superiorità dell’uomo sulla natura.
Dagli anni ’80 e ’90, si sono progressivamente affermate le scienze etologiche e il pubblico ha preso coscienza del problema ambientale determinando un inevitabile cambiamento nel circo. Le performance in pista hanno iniziato a incentrarsi sull’equilibrio, la propriocezione e la collaborazione, come nel caso di Walter Nones.
Oggi una crescente consapevolezza di come il dominio dell’uomo stia portando alla distruzione dell’ambiente spinge lo spettatore a identificarsi non più con il domatore, ma con l’animale e il circo si sta di nuovo adattando al cambiamento. Alcune compagnie hanno sostituito gli animali con gli ologrammi, altri con un numero maggiore di artisti di vario genere, fino ad approdare al New Circus, un circo di regia caratterizzato da contaminazioni da parte di tetro, musica e danza come il Cirque du Soleil. Chi mantiene la presenza animale nello spettacolo, invece, lo fa optando per uno stile più friendly e rispettoso nei confronti dei protagonisti a quattro zampe e degli uccelli.
Quanto è durato il tuo progetto fotografico?
Il progetto è iniziato nel gennaio del 2022 ma non posso dire che sia concluso perché sto comunque monitorando i cambiamenti in atto e quelli potenziali dovuti all’introduzione di ulteriori nuove tecnologie e leggi.
Hai seguito due circhi con animali in Italia. Come sei entrata in contatto con loro?
Nel gennaio del 2022 il Circo di Vienna era appena arrivato nella mia città, Grosseto, dopo la lunga pausa del periodo della pandemia e su richiesta di un’amica ho accettato di andare a vedere uno spettacolo. Pur essendo un’esperienza anacronistica per le nuove generazioni, alle quali tutto è facilmente accessibile tramite la tecnologia, ha suscitato in me grande meraviglia, investendo di magia un contesto reale. Questo mi ha spinta ad approfondire l’argomento attraverso la fotografia e il giorno seguente ho atteso la fine delle esibizioni per parlare con Jason Caveagna, il responsabile del circo. Gli ho raccontato che da un lato avrei cercato di spiegare l’evoluzione estetica del circo e i suoi contenuti, dall’altro avrei svelato quell’universo parallelo in cui l’immaginazione dello spettatore può viaggiare.
Jason ha accettato la mia proposta e da allora sono stata libera di muovermi all’interno del circo: ho trascorso molto tempo con la compagnia, spesso arrivavo la mattina prestissimo e mi trattenevo tutto il giorno. Parlando con Vania Vassallo, la madre di Jason, sono entrata in contatto con altri due componenti della famiglia Vassallo: Melany del circo Atmosphere, un circo con ologrammi da poco arrivato in Italia, che in quel momento organizzava spettacoli in Puglia e Daniela del Rony Roller, circo classico con animali. Nel frattempo, mi sono messa in contatto con il CEDAC [Centro Educativo di Documentazione delle Arti Circensi, n.d.r.] di Verona per consultare l’archivio e parlare con il dottor Antonio Giarola.
Chi è il dottor Antonio Giarola?
È il presidente del CEDAC, nonché un regista attivo prevalentemente in ambito circense, conosciuto proprio per aver diffuso la mentalità europea del circo di regia. Giarola mi ha aiutata a focalizzare l’attenzione sugli argomenti più importanti e mi ha indirizzata in Germania, al circo Roncalli, il primo circo in assoluto ad aver introdotto gli ologrammi negli spettacoli.
Come descriveresti uno spettacolo circense che fa uso di ologrammi?
Come qualcosa di innovativo, che staziona tra fantascienza e illusionismo, che attira e in parte impressiona il pubblico, principalmente i piccoli. Il circo con ologrammi cerca di far fronte, contemporaneamente, alle difficoltà dovute alla diminuzione di affluenza del pubblico e a quelle provocate dalla pressione dei movimenti animalisti. Non tutte le compagnie circensi sono concordi nel ritenere gli ologrammi un’alternativa valida e coinvolgente per il pubblico, molte preferiscono puntare su artisti e nuovi numeri, basandosi sulla convinzione che il circo sia fatto di spettacoli dal vivo, diversamente dal cinema.
Qual è la risposta del pubblico al circo con ologrammi?
Chi si avvicina al circo con ologrammi è fortemente attratto dall’idea di vedere qualcosa che non ha mai visto e non ha nemmeno un’idea precisa dello spettacolo a cui assisterà, questo è assolutamente elettrizzante sia per i bambini, sia per gli adulti. Una volta sotto lo chapiteau, ossia il tendone, il pubblico si lascia incantare dalla perfetta interazione tra ologrammi e prestazioni degli artisti in carne e ossa, che condiscono lo spettacolo con il giusto mix di poesia e adrenalina.
Hai raccontato di aver seguito due compagnie circensi che ricorrono agli ologrammi, una in sud Italia e una in Germania. Ci racconti di più?
Sì, dopo aver seguito per un po’ il circo di Vienna, sono andata a Lecce per assistere allo spettacolo del circo Atmosphere, un circo creato dalla famiglia Vassallo che fino al 2021 faceva gli spettacoli in Grecia. Il pubblico era eterogeneo, spaziava dai piccolissimi a persone adulte senza figli. Un circo dinamico, moderno e molto coinvolgente.
L’altro è il Roncalli, il primo circo che nel 2018 sperimentò lo spettacolo con ologrammi, ma già negli anni ’90 aveva deciso di eliminare le performance con animali selvatici, conservando nello show solo i cavalli, per poi successivamente togliere anche quelli. In questo circo si inizia a sognare già dal momento in cui si fanno i biglietti, entrare è come tuffarsi nel tempo passato, legni cesellati, poltroncine in velluto rosso, decorazioni preziose, tutto è curato nei minimi dettagli, c’è perfino un piccolo museo prima di entrare. Di questo circo mi ha particolarmente affascinata la clownerie, una vera eccellenza.
Cosa ti ha colpito di più di quanto emerso dalle tue ricerche d’archivio presso il CEDAC?
È entusiasmante vedere come questo archivio sia testimone fisico di come nel tempo il circo, rispecchiando le epoche, si sia proposto al pubblico, cambiando l’estetica di presentazione. Si passa da semplici documenti descrittivi di fine 1700 inizio 1800, con un’impronta teatrale, a manifesti a effetto dai colori sgargianti come quelli che vanno dal dopoguerra ad oggi. Con l’avvento dei social media sono stati eliminati quasi del tutto locandine e manifesti e la pubblicità è affidata a internet.
Con che attrezzatura hai realizzato le fotografie di Meraviglie?
Per realizzare il progetto ho utilizzato le Fujifilm X100V e X-T3, quest’ultima con un corto teleobiettivo.
Qual è la tua opinione sul circo?
Il circo crea e vende dei sogni, lo ha sempre fatto e, a prescindere dal periodo storico, troverà sempre il modo per farlo perché ha tradizioni e radici molto forti. Credo che, soprattutto in questo periodo storico, abbiamo bisogno di risvegliare la gentilezza dello sguardo e la delicatezza di pensiero, ma anche di credere alla meraviglia e alla nostra capacità di sognare senza freni. Non approvo chi sceglie i bersagli facili per tacciarli di immoralità, come accade a volte con chi giudica il mondo del circo, trovo che sia un atteggiamento tremendo. Tuttavia, credo anche che i circensi debbano accettare i cambiamenti in atto. Stimo chi ha preso serenamente atto del cambiamento di gusto del pubblico e ha adattato la sua arte al tempo presente, guardando al futuro, ma altrettanto stimo chi ancora non si sente pronto ad abbandonare prima del tempo naturale i propri amati animali, compagni fedeli di una vita.
Questa tua opinione era la stessa prima di intraprendere il progetto?
Sinceramente sì, la mia opinione era la stessa, sebbene basata su pochi elementi ed esperienze. Ritengo, però, che per condividere un pensiero nella speranza di essere capiti sia necessario approfondire molto l’argomento, così da poterlo restituire con il proprio linguaggio in modo coerente e consapevole.
Ulteriori informazioni e immagini di Chiara Innocenti sono consultabili sul suo sito ufficiale chiarainnocenti.it.