Sarebbe
il classico inizio agosto in cui, anche se ci leggerete solo
tra un mesetto, avrei voglia solo di augurare a tutti buone
vacanze o buon rientro. Perché, è giusto che
lo sappiate, non tutti i mesi è facile trovare la vena
per la solita lunga chiacchierata. Ancora una volta, però,
dalla fucina del sol levante – che, si sa, non chiude
mai per ferie – giungono notizie che meritano qualche
commento. La prima viene da casa Sony, narra di due nuove
compatte con sensore “capovolto”, ma siccome reca
la data 6 agosto ed è quindi fuori dalla portata dello
schiacciasassi Mandarini, la porto qui a pagina 3. Perché
capovolto? Forse non tutti sanno che la parte sensibile del
sensore è paragonabile al pane su cui vengono messi
alcuni strati di vario materiale, nel caso di un CCD affatto
indigesti. Volendo semplificare, ai fotodiodi in silicio (la
parte sensibile) è sovrapposta una sorta di griglia
di circuiti e transistor, poi un secondo strato costituito
dal filtro Bayer che ha il compito di inviare a ciascun pixel
un solo colore (verde, rosso o blu), infine lo strato di microlenti,
che convogliano verso il fotodiodo quanta più luce
possibile, evitando che si disperda nelle zone morte del sensore.
Un sensore siffatto si chiama a illuminazione frontale e tutte
le fotocamere attuali seguono grossomodo questo schema. I
sensori a illuminazione posteriore, invece, seguono lo schema
inverso: sotto la coppia formata dallo strato di microlenti
e dal filtro colore Bayer hanno subito i fotodiodi di silicio
e in fondo, come base, il livello costituito dai circuiti
e dai transistor. Il vantaggio più immediato del secondo
tipo di sensore è evidente: la luce convogliata dalle
microlenti e filtrata arriva senza altri ostacoli ai fotodiodi,
generando un segnale elettrico di intensità molto più
alta che nel sensore a illuminazione frontale. Per fare un
esempio, è come prendere il sole sul terrazzo all’attico
anziché nel cortile sottostante, tra i palazzi. Sono
altrettanto intuibili i risvolti fotografici: una maggior
efficienza del singolo pixel consente di ottenere una maggior
gamma dinamica e più alti valori di sensibilità
ISO con minor disturbo.
Ma perché mai, allora, i sensori, finora, sono stati
costruiti secondo il contorto e poco efficiente schema a illuminazione
frontale? Perché costruire un fotodiodo a illuminazione
posteriore si è dimostrato assai complesso e le immagini
ottenute con questo schema, confrontate con quelle provenienti
da sensori tradizionali, sono risultate afflitte da forte
rumore e scarsa accuratezza cromatica. Sony dichiara di aver
ottimizzato una tecnologia per la realizzazione di sensori
retro-illuminati che risolve i problemi del passato, ottenendo
al contempo maggiore sensibilità e minor disturbo.
Questa tecnologia era stata annunciata oltre un anno fa, ma
ora dalle parole si è passati ai fatti con il lancio
di due nuovi apparecchi. Se la curiosità verso queste
fotocamere ci induce a programmarne sollecitamente un test,
altrettanto possiamo dire a proposito di un’altra novità
assoluta, la prima compatta digitale con proiettore incorporato,
la Nikon Coolpix S1000pj. Sulle prime può sembrare
una delle tante trovate bizzarre che diventano realtà
solo perché la tecnologia lo consente. In realtà
penso che sia un’idea divertente, figlia di un modo
di vedere la fotografia molto moderno e spensierato, ed è
indice, tra l’altro, di una voglia di condivisione delle
immagini che va finalmente oltre l’impersonale schermo
di un computer. Aggiungo che, almeno stando alla rapida dimostrazione
cui ho assistito, la nuova Nikon è anche molto funzionale.
Dopo queste piccole, eccezionali novità, su cui torneremo
ovviamente nel prossimo numero con dovizia di particolari,
voglio infine portare l’attenzione su qualcosa di più
"normale". In questo numero pubblichiamo la comparativa
di quattro obiettivi da 50mm, una focale fissa che sembrava
destinata a un declino commerciale inarrestabile e che invece,
vuoi per il ruolo di mediotele da ritratto che assume sulle
attuali reflex con sensore APS-C, vuoi per la cauta diffusione
di reflex a formato pieno, torna a essere oggetto dell’attenzione
dei produttori con risultati stupefacenti. È la dimostrazione
che le idee buone non invecchiano mai e che è possibile
addirittura migliorarle. E mi piace scorgere nel rinnovato
successo dell’intramontabile 50mm un segno di consapevolezza
da parte dei fotografi: ogni focale ha un suo linguaggio e
quello del cosiddetto normale, paradossalmente, è forse
il più difficile e stimolante. Il 50mm meriterebbe
un concorso fotografico tutto suo. Ma questa è una
battuta da ultimo giorno di scuola. O forse no. |