Nei
cinque anni della nostra giovane storia la quantità
di fotografie giunte in redazione ogni mese è aumentata
di pari passo con la nostra diffusione, grazie anche alla
sempre maggiore consapevolezza che inviare le proprie opere
a una rivista di fotografia non vuol dire necessariamente
essere umiliati da un sedicente critico con la luna storta.
Anzi, come ho avuto già modo di sottolineare, molti
ci hanno riconosciuto il ruolo di buoni consiglieri, mostrandoci
con giusto orgoglio i traguardi raggiunti nel tempo. Sebbene
questo sia un dato entusiasmante, l’analisi del flusso
di immagini mostra come non tutti i generi godano delle stesse
preferenze da parte dei fotografi. Quelli più gettonati
sono la fotografia di viaggio, il paesaggio, la macro e la
fotografia naturalistica. Solo una piccola percentuale si
dedica con costanza e profitto ai generi di fotografia sociali,
ovvero il reportage e la street photography. Ma è soprattutto
il ritratto classico a non riscuotere il successo che meriterebbe.
Eppure i più famosi tra i famosi sono proprio i fotografi
dediti al ritratto, inteso come fotografia della gente, dei
volti, delle espressioni, delle azioni; segno che più
di ogni altro genere desta l’attenzione e provoca il
maggior coinvolgimento dell’osservatore.
La prima motivazione che viene spontaneo addurre è
relativa alla difficoltà tecnica insita nel ritratto,
ma è facile obiettare che anche il paesaggio, se affrontato
in modo coscienzioso e non improvvisato, presenta le sue difficoltà.
A onor del vero un buon ritratto richiede alcuni ingredienti
che molto raramente si trovano scodellati, belli e pronti,
davanti l’obiettivo. Se ci sono poche probabilità
che un make-up divino acconci in modo irripetibile uno scorcio
altrimenti banale, ce ne sono ancora meno che un’espressione
accattivante si offra casualmente a noi il tempo necessario
per un ritratto memorabile. Il ritratto ha bisogno di una
preparazione molto lunga, che non vuol dire artificiosità
dello scatto. Un ritratto che vada oltre la semplice rappresentazione
richiede che tra fotografo e soggetto si instauri una comunicazione.
Quanto più questa è intensa, quanto più
il fotografo sa piegare la luce e gli strumenti alla propria
volontà, tanto più il ritratto sarà “parlante”.
C’è un altro ostacolo alla diffusione della fotografia
di ritratto, un impedimento che riguarda solo indirettamente
il fotografo e il suo rapporto con il soggetto: è la
paura di rivendicazioni legali, quasi una paranoia, che si
è ormai subdolamente impossessata dei fotografi inducendoli
quasi sempre ad abbassare la fotocamera. Abbiamo più
volte affrontato questo tema, strettamente legato alla tutela
della riservatezza e al diritto di cronaca. Qui ci preme evidenziare
come la spontaneità e il candore che traspaiono dai
ritratti realizzati fino a un paio di decenni fa siano ormai
solo un ricordo. Personalmente invidio i principianti che
sfacciatamente puntano il loro obiettivo su un volto solo
perché è interessante. Io ormai ci penso due
volte, se non tre, e spesso desisto perché come molti
ho dovuto subire reazioni comprese tra il semplice rimbrotto
e la minaccia di denuncia. Questo clima di sospetto mina alla
base proprio quell’approccio conoscitivo che ritengo
essenziale alla realizzazione di un buon ritratto.
C’è un terzo fattore, altrettanto preoccupante,
che rende relativamente poco praticato il ritratto. Siamo
tutti drogati. Drogati dai canoni di bellezza imposti dalla
televisione, dalle riviste di moda. Canoni drogati a loro
volta dalle potenzialità dei programmi di fotoritocco
che rendono ancor più fantascientifiche delle bellezze
già eccezionali. Con questi filtri passa-alto che si
stratificano nella nostra memoria diviene sempre più
difficile scorgere il bello in un volto normale perché
si cerca altro. Si cerca il lineamento perfetto, la curva
impeccabile, la proporzione scultorea. E non si va più
alla ricerca dello sguardo denso, del sorriso sincero, del
difetto affascinante. A pensarci bene, la ricerca affannosa
del bello artificiale si riscontra ovunque, ma in fotografia
in particolare conduce alla sterilizzazione di un filone che
ne ha scandito la storia. |