La
fotografia è un’arte, lo sanno anche i bambini.
Ma questo rango c’è chi glielo nega ancora oggi,
figuriamoci quando muoveva i primi passi, oltre centocinquanta
anni fa.
La fotografia dimostrò subito il suo carattere rivoluzionario.
Dopo aver superato gli iniziali seri ostacoli di ordine tecnico,
come la bassa sensibilità delle emulsioni che obbligava
a tempi di posa lunghissimi, fu subito causa di alcuni piccoli
sconvolgimenti di carattere socio-economico. La relativa semplicità
con cui si poteva riprodurre una scena fece sì che
alcune specializzazioni dei pittori di mestiere, come il ritratto,
la fotografia di paesaggio o il reportage, diventassero pane
quotidiano dei primi fotografi di professione. La levata di
scudi nei confronti del nuovo mezzo si fondò, quindi,
innanzitutto su motivi di carattere corporativistico. La fotografia
fu però osteggiata dai pittori anche per ragioni meno
materiali, in particolare per difendere il fortino concettuale
dell’arte e della creatività, al tempo dominio
indiscutibile della pittura. Allo scopo si sosteneva che la
fotografia, in quanto mezzo meccanico obiettivo, riproducesse
la realtà per quello che era, e che la pittura, che
fluiva su tela dopo ampio e sentito processo di elaborazione
personale, riproducesse la realtà per come veniva vista.
Una tesi debole, ma che ha retto molto a lungo in varie frange
culturali. Del resto, la fredda precisione del processo fotografico
offriva il destro ai detrattori, che avevano gioco facile
nel privare lo scatto di una rilevante quota di pensiero creativo
originale. La seconda metà dell’Ottocento e tutto
il Novecento hanno, però, visto il riconoscimento del
potere innovativo della fotografia sul linguaggio visivo e
la sua consacrazione come mezzo di espressione artistica.
Pittura e fotografia hanno intrecciato i loro cammini, spesso
scontrandosi, a volte sovrapponendosi o allontanandosi. Basterebbe
citare, come esempio di bizzarro scambio di ruoli, il Pittorialismo
in fotografia e l’Iperrealismo in pittura. L’ultimo
baluardo che ostacolava il riconoscimento della pari dignità
tra le due arti restava comunque legato al differente gesto
tecnico, una sorta di peccato originale ignoto alla pittura
che portava a ritenere "arte" un dipinto e "non
arte" una fotografia fino a prova contraria.
Sono spesso le sentenze a determinare dei punti di svolta,
a sdoganare definitivamente idee o tendenze che fanno già
parte del sentire comune pur senza una inequivocabile normativa
in merito. La concezione della fotografia come arte e la necessità
di tutela del conseguente diritto d’autore sono state
scolpite a suon di pronunce giurisprudenziali dal momento
che - come già in passato abbiamo avuto modo di dire
- la principale legge che regola il diritto d’autore
in Italia, la 633 del 1941 e successive modifiche, ha lasciato
spazio a innumerevoli e discordanti interpretazioni. Con l’obiettivo
di definire l’ambito di applicazione della legge, studiosi,
artisti, giuristi - e fotografi, per giunta - si sono affannati
in contrapposizioni di stampo antico tra pittura e fotografia,
e poi tra arte e non arte. È la via giusta da seguire,
ma quanto è difficile non mettere il piede in fallo!
Sul numero di giugno 2008 sposammo la filosofia che vuole
il pensiero innovatore come connotato imprescindibile dell’opera
d’arte e come condizione essenziale della tutela prevista
dalla legge. Ed è appunto una sentenza, pronunciata
dal Gip del Tribunale di Milano il 21 novembre scorso, ad
avvalorare questa tesi. Il giudice era chiamato a pronunciarsi
su una controversia tra un fotografo di fama nazionale e un
pittore. Quest’ultimo, accusato di aver riprodotto pedissequamente
un’opera del fotografo, è stato condannato. La
legge sul diritto d’autore tutela, infatti, l’opera
fotografica cui venga riconosciuto valore artistico - requisito
posseduto dall’opera contraffatta - vietandone la riproduzione
in qualsiasi forma e modalità. A nulla sono valse,
quindi, le obiezioni relative al diverso supporto della riproduzione
- tela e non fotografia - e, soprattutto, alla supposta creatività
del dipinto, che sarebbe fedelissimo all’originale solo
in quanto espressione della corrente iperrealista.
La portata della sentenza è notevole: afferma la necessità
di un’idea creativa nella definizione di opera artistica,
eleva la fotografia così nobilitata a oggetto di tutela
rafforzata, vietandone la riproduzione anche su supporti differenti
dall’originale, e sfrutta il teatro di una sfida tra
arti in antico conflitto per concedere alla fotografia una
rivincita storica dal potente valore simbolico. |