Sì,
certo, c’è chi va ormai per i cinquant’anni
e noi siamo qui a festeggiare i cinquanta numeri. Ma si sa,
quando si va molto in là con l’età si
tende a non fare gran chiasso ai compleanni e per decenza
si mette simbolicamente una sola candelina. Ma noi siamo giovani
e ci piace condividere la soddisfazione per un traguardo raggiunto,
piccolo o grande che sia.
Cinquanta edizioni – e due speciali – segnano
un lasso temporale di poco inferiore a cinque anni. In questo
periodo, tanto per dare un po’ di numeri, abbiamo partecipato
a una decina di fiere nazionali di vario stampo, siamo stati
invitati alla giuria di una ventina di concorsi e come critici
ad altrettante letture portfolio; abbiamo testato oltre centotrenta
fotocamere, circa ottanta obiettivi, decine tra scanner, stampanti,
flash e altri accessori e, soprattutto, abbiamo dato ampio
spazio a oltre duecento autori, senza contare gli oltre trecento
passati per Palco e i trentasei fenomeni del fotoritocco che
in due edizioni del concorso di elaborazione FOTO sCulture
hanno conquistato le preferenze della giuria di redazione.
In questi cinque anni sono cambiate tante cose. Gli stravolgimenti
più evidenti sono avvenuti in campo tecnologico. Basti
pensare che nel primo numero, all’interno del reportage
del PMA 2004, presentavamo diverse reflex analogiche di cui
due targate Minolta. La stessa Minolta che, da poco unita
a Konica, ancora doveva presentare la sua prima reflex digitale.
La stessa Minolta che dopo neanche due anni avrebbe abbandonato
per sempre il ramo della fotografia lasciando il bagaglio
tecnologico in eredità a Sony. Cinque anni che sono
serviti a cancellare quasi del tutto dagli scaffali dei foto-negozianti,
e dai desideri della gente, fotocamere analogiche, pellicole,
carte e rivelatori. Ma la fotografia non è morta, come
minacciavano i soliti vecchi tromboni. E non si è neanche
ammalata, neppure quando ogni telefonino ha avuto il suo bravo
occhio elettronico.
In questi anni, dopo un netto declino, è tornata la
reflex come strumento di ripresa per eccellenza; anche se
il ritorno non è stato coerente. La strada l’hanno
segnata una tecnologia in fase di rapido sviluppo e il marketing
più cinico. Un digitale ancora acerbo e costoso ha
obbligato al parto podalico di reflex a formato ridotto e
di ottiche ridisegnate all’uopo. Prodotti di qualità,
beninteso, e ancora ampiamente migliorabili, ma, alla luce
dei fatti, transitori. Destinazione: il formato 35mm che,
in barba ai decenni e alla diffusa mania di miniaturizzazione,
si dimostra il miglior compromesso tra qualità e praticità.
In cinque anni è cambiato anche il modo di fare fotografia.
Meglio, si sono delineate delle tendenze, tanto nella fotografia
amatoriale quanto in quella professionale, che all’inizio
di questo millennio erano semplicemente abbozzate. Il computer
è entrato a far parte degli strumenti fotografici con
la stessa dignità di un treppiedi per un paesaggista
o di un lampeggiatore da studio per il fotografo di still-life.
E, passata la sbornia da Photoshop, il programma di fotoritocco
è diventato, almeno nelle mani dei migliori, uno strumento
di ottimizzazione e di espressione stilistica.
Lo stato delle cose, dal punto di vista politico, ambientale,
culturale, influenza in modo più netto che prima i
contenuti delle opere fotografiche, sempre più intrise
di introspezione e di analisi sociale, di esaltazione delle
bellezze naturali e di cruda documentazione, di fusione nel
tessuto cittadino o di ritorno a schemi più semplici,
a seconda della personalità. È un processo che
mi auguro non si arresti perché è segno di energia
crescente, di coscienze più radicate, di occhi che
si aprono. Sì, proprio questo è ciò che
auguro a tutti. |