Confesso
che mettendomi a scrivere queste righe, cercando di capire
se la rivolta dei tir si sarebbe prima o poi sopita permettendo
alla nostra rivista di arrivare in edicola, esausto come molti
per un anno davvero tirato, ho avuto la tentazione di vuotare
il sacco, di sfogarmi, di trasformare questo editoriale in
qualcosa che non fosse fotografia. Poi ho pensato che sarebbe
stato un errore, neanche tanto originale…
Spero vogliate perdonarmi, però, se non mi lancio nei
soliti approfondimenti di pagina 3, che rappresentano per
me un travaglio, gratificante ma sempre con il serbatoio in
riserva. Stavolta, come i banchi dei fruttivendoli e i distributori
di carburante, emblema prenatalizio della fragilissima Italia,
sono a secco.
Cerco di rigenerarmi sfogliando le bozze di questo fascicolo,
cogliendo poi l’occasione per parlare di noi, di questa
rivista, ai tantissimi nuovi estimatori che ogni mese si aggiungono
ai lettori abituali. Caspita, bello! Mi verrebbe da canticchiare
“siamo una squadra fortissimi”, ma rinsavisco
e mi accorgo che un sottile filo conduttore lega gran parte
degli articoli. È un numero “vero”. Un
numero in cui si parla di verità, cercata e analizzata,
nascosta e svelata. Forse è addirittura banale indicare
l’inchiesta di Emanuela Costantini (che non è,
come alcuni hanno maliziosamente ipotizzato, il mio pseudonimo
al femminile!) come nodo principale di questo fil rouge. La
brava Emanuela ha condotto un’analisi del rapporto tra
fotografia e verità parlando con fotoreporter e cineoperatori,
photoeditor, agenzie ed esperti di tecnica digitale. Un rapporto
complesso che non tocca solo, come si può ben immaginare,
l’aspetto dell’autenticità dell’immagine,
tanto attuale in era digitale; ma anche l’aspetto dell’obiettività,
intesa come documentazione fedele della realtà da parte
di chi ha scelto l’affascinante mestiere del fotoreporter.
Vera e bella è anche l’intervista di Edo Prando
(mai noioso, mai annoiato) a Daniele Pellegrini, un reporter
“geografico” che per molti della mia generazione
ha rappresentato un modello da seguire, il mito del fotografo
che è pagato per fare due delle cose più belle
al mondo: viaggiare e fotografare. È ancora lecito
sognare una vita del genere?
Paris Photo, l’appuntamento annuale con la fotografia
d’autore: tutti dovremmo sapere cosa è per comprendere
la verità del mercato della fotografia e, magari, fare
altrettanto in Italia. Loredana De Pace c’è stata
e ha scoperto che non bisogna per forza avere i capelli bianchi
per vivere di quel tipo di fotografia. Ha anche toccato con
mano l’urgenza sentita dai fotografi di certificare
le proprie opere, di renderle vere. Vorrei aprire una parentesi
su Digigraphie, la novità di Epson - almeno per il
mercato italiano - per la certificazione delle stampe che
ha grandi implicazioni sia culturali che tecnologiche; ma
ne riparleremo sul prossimo numero.
Ancora Loredana ha condotto un’intervista - talmente
concreta da valere più di un filmato - con un mito
di tanti: Elliott Erwitt. Un faccia a faccia naïf, nel
senso più positivo del termine, ovvero trasparente
e genuino come solo chi resta un po’ bambino sa essere.
Anne Geddes ci ha concesso in esclusiva, tra le riviste di
fotografia, un’intervista che ci ha permesso di conoscere
da vicino uno dei personaggi più noti del nostro mondo.
Un quarto di secolo di fotografia ai bambini che si fa con
gli anni più intima e vera, un successo che si ripete
grazie a una grande organizzazione, a una fede incrollabile
nelle proprie idee e a una passione che travalica quella per
la fotografia.
Forse è proprio questa la verità più
stringente. Leggete - con la mente sgombra, dopo cena, comodamente
seduti - di Gerda Taro e di come amore la strinse a un uomo,
Robert Capa, e alla fotografia. Di come si vive di fotografia
e per la fotografia. Di come si può anche morire per
gli ideali. E poi ammettete di esservi commossi.
Torno con i piedi per terra. La verità è che
per la prima volta usciamo con due numeri distinti a gennaio
e febbraio, che il nostro mini sito (www.fotocult.it) era
ora che arrivasse, che sono fiero della squadra che genera
questa rivista, che è grazie a voi lettori che lavoriamo
con entusiasmo e che è arrivato il momento di fare
a tutti gli auguri di buon anno.
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