L'editoriale
del mese scorso, interamente dedicato a un estratto del diario
di Antonella Cappabianca, fotografa non vedente, ha lasciato
un segno indelebile tanto sul sottoscritto quanto sui lettori,
moltissimi dei quali hanno sentito l'urgenza di mettersi in
contatto con noi per manifestare le forti emozioni che quel
messaggio aveva provocato. Non è facile per me riappropriarmi
di questa pagina in modo altrettanto valido. Fortuna vuole
che il calendario segni il 14 marzo. Due anni fa, dopo una
serie romanzesca di fatti, nasceva la rivista che avete fra
le mani. In questo periodo tante cose sono cambiate, anche
la platea dei lettori: qualcuno lo abbiamo perso per strada,
tanti si sono aggiunti, con un processo per fortuna opposto
a quello della caduta dei capelli. A vantaggio dei nuovi lettori,
ma anche dei tanti che ci seguono dall'inizio, è giunto il
momento di riesaminare le linee guida di FOTO Cult alla luce
del particolare momento storico. Sebbene l'impostazione della
rivista sia evidente a un'analisi appena meno che superficiale
e nonostante da ogni parte giungano parole di stima e approvazione,
la compresenza di una parte dedicata alla tecnica e alle attrezzature
e di un'altra dedicata allo studio dell'immagine, della sua
storia e delle sue tendenze costituisce la concretizzazione
di una filosofia che non è compresa e condivisa universalmente.
Per la verità si tratta sempre di critiche settoriali, che
suonano come "bella rivista, ma troppo spazio alle fotocamere",
oppure come l'esatto opposto. Pur trattandosi di voci isolate,
sono degne del massimo rispetto e della più attenta valutazione
perché costituiscono spesso il retaggio di una formazione
culturale parziale contro la quale ci siamo schierati sin
dall'inizio. Partendo dal presupposto che tecnica e cultura
sono due metà inseparabili della fotografia, la nostra missione
"statutaria" è quella di abbattere il muro d'incomunicabilità
che si erge tra i cultori della tecnica e i tecnici della
cultura; quella di offrire, nei limiti delle nostre capacità,
conoscenze tecniche ai talentuosi perché si esprimano meglio
attraverso il mezzo fotografico e spunti estetici a chi già
lo padroneggia. E sebbene, come già mi è capitato di ammettere,
abbia una formazione prettamente tecnica, ritengo che in questo
particolare momento la formazione culturale estetica e storica
debba essere per certi versi privilegiata. Mi rendo conto
che può sembrare paradossale, in una fase di vera e propria
rivoluzione tecnologica, porre in secondo piano la tecnica.
E infatti non la trascuriamo, né mai lo faremo. Ma gli anni
Settanta sono passati, quelli in cui la macchina era talmente
assimilata e metabolizzata dai fotografi che l'espressione
era pura, il mezzo era trasparente e l'immagine, sempre realistica,
non lasciava intravedere la cifra tecnica. Oggi non è più
così. La stragrande maggioranza delle fotografie degne di
essere osservate trasuda tecnologia, applicata non solo alla
ripresa attraverso fotocamere dalle prestazioni sbalorditive,
ma anche alla fase successiva dell'elaborazione. La tecnologia
avanza veloce e il fotografo la rincorre. Almeno in questo
momento, senza afferrarla saldamente. Il giorno in cui l'inseguimento
terminerà, in cui la rivoluzione digitale rallenterà, sarà
bene farsi trovare pronti dal punto di vista tecnico-strumentale,
certo, ma anche e soprattutto ricchi di concetti da esprimere,
perché il primato torni all'uomo. Noi cerchiamo di vivere
pienamente e con coscienza questo momento, senza pregiudizi:
da qui arriva l'onore e l'onere di essere partner di FotoGrafia
- Festival Internazionale di Roma, la più importante manifestazione
culturale italiana, ma da qui nasce anche l'esigenza di essere
i primi e i più imparziali nei test dei prodotti, e di alimentare
incondizionatamente tutte le tendenze che racchiudano il germe
della creatività. FOTO sCulture basti come esempio. È una
fase, una delle tante della storia della fotografia. E come
tutte le fasi rivoluzionarie, di transizione, anche questa
può spaventare, rumorosa, apparentemente ondivaga, per certi
versi dolorosa. Osservarla con un certo distacco, dall'alto,
ma non con superficialità, può aiutare. In quota si vola meglio,
ci sono meno turbolenze, si vede la strada percorsa e si scorge
nitida quella da prendere, tutto sembra più bello. E, lungi
dall'essere una fuga dalla realtà, di questa consente piuttosto
una migliore rappresentazione. |