Siamo
ufficialmente in crisi economica. Si chiama, più propriamente,
recessione. Fortunatamente lo hanno detto al "tiggì" sennò
non ce ne saremmo accorti. Gli esperti aggiungono che le famiglie
italiane in questi frangenti tirano la cinghia, altra notizia
che ci trova davvero spiazzati e increduli. Potremmo dirlo
noi agli esperti quanti buchi nuovi abbiamo fatto a quella
cinta, ma loro, ovviamente, lo sanno già. Almeno tre: viaggi,
cultura e tecnologia. Improvvisamente tornano di moda le gite
fuori porta, i weekend nella seconda casa in montagna semiabbandonata,
per chi ce l'ha; si preferisce quel che è rimasto di gratuito
in tv ad un buon libro appena uscito; e sai che c'è? che in
fondo quel plasma fa pena vicino al buon vecchio televisore
a tubo catodico. La voglia di muoversi, di vedere cose nuove
e belle, di crescere culturalmente anche divertendosi - buona
parte dei motori del mondo, insomma - vanno in letargo. Pensiamoci,
sono anche le molle che ogni anno spingono decine di migliaia
di persone ad incontrarsi per condividere una passione comune,
nel nostro caso la fotografia. I numeri del Photoshow di Milano
dello scorso marzo parlano ufficialmente di un'affluenza pari
a quella dell'anno precedente a Roma. Eppure, vuoi per la
nevicata che ha imbiancato Milano alla vigilia, per il diluvio
che poche ore dopo ha spezzato in due l'Italia o semplicemente
perché ognuno nel proprio piccolo vagava col suo numero crescente
di grattacapi, l'aria che si respirava non era allegra come
al solito e ogni tanto i corridoi erano sgombri abbastanza
da lasciar spazio a improvvisate partite di calcetto. Non
deve essere stata solo un'impressione personale se buona parte
dell'AIF - l'associazione che riunisce la maggior parte dei
marchi fotografici in Italia e che costituisce lo zoccolo
duro degli espositori al Photoshow - in una recente assemblea
ha posto seriamente in discussione l'opportunità di rispettare
l'appuntamento romano per il 2006, atteso da moltissimi appassionati
del Centro e Sud Italia. Non è ovviamente una cattiveria gratuita
delle aziende del Nord a danno del Meridione (gli importatori
sono tutti da Firenze in su), quanto il risultato di un doloroso
conto economico: il Photoshow così com'è, con stand faraonici,
eserciti di collaboratori e, nel caso dell'edizione romana,
con aggravi logistici facilmente immaginabili, costa troppo
in proporzione al numero di nuovi contatti. E quindi basta.
Il Photoshow rischia di diventare biennale, ma solo a Milano.
Sono state scartate diverse opzioni di salvataggio: non si
può aprire a internet, pericoloso concorrente della stampa
domestica e delle linee di vendita ufficiali; e si devono
tenere fuori i fotofonini, considerati concorrenti delle fotocamere
digitali compatte. Nessuna sinergia, la fotografia resta chiusa
nei suoi angusti confini e non si ripone più tanta fiducia
neanche nelle moto più cromate coperte da bellissime modelle
scoperte. Possibile che non ci sia una via di mezzo tra il
nulla e la granitica fiera mangiasoldi? Non c'è alternativa
alla vetrina di prodotti che nel migliore dei casi si possono
maneggiare per pochi minuti in un padiglione buio? Non c'è
verso di allearsi a chi ha a cuore gli aspetti culturali e
sa sfruttare il territorio (FotoGrafia Festival, ad esempio)?
Deve per forza soffocare nelle metropoli? Deve per forza?
Gli importatori, ossia coloro che hanno il potere di decidere
di uno dei più attesi e coinvolgenti appuntamenti per noi
fotografi, hanno bisogno di consigli. Abbiamo il potere e
il dovere di darglieli perché noi siamo quelli che affollano
i loro stand, che sognano e comprano le loro macchine. Abbiamo
l'opportunità di fornire la ricetta giusta per ridare slancio
ad una manifestazione stanca. Trasformiamola in momento di
crescita, svago e confronto. Servono le idee di tutti. Può
bastare una mail. Comunicateci il vostro pensiero senza limiti
di spazio o contenuti scrivendo a:
ilmiophotoshow@fotocult.it
FOTO Cult si impegna a portare tutte le vostre idee al tavolo
di discussione. |