Quale
errore, controllare la posta elettronica prima di concedermi
un fine settimana di riposo! C'è una mail con una foto allegata.
Un minuto di osservazione, spengo il computer e la foto è
ancora lì. In ascensore chiudo un attimo gli occhi e vedo
i colpi di luce sulla vegetazione ai lati, in macchina verso
casa la striscia fumé del parabrezza mi ricorda la mascheratura
che rende drammatiche le nuvole sullo sfondo, intuisco un
capannone agricolo alla fine della carrareccia che guida bene
lo sguardo in un percorso istintivo, molto sfruttato dai fotografi
di maniera. E forse tutta la foto è di maniera. Ma perché
allora non me la levo dalla mente? Facciamo un passo indietro.
Sin dal primo numero abbiamo invitato tutti a mandarci le
proprie fotografie, nella convinzione che una rivista serva
soprattutto a crescere e che chi ha un po' più di esperienza
debba metterla al servizio degli altri. Qua
e là, in modo più o meno palese, abbiamo anche esposto alcune
regole tecniche ed estetiche, offerto spunti prettamente culturali,
affinché quella crescita fosse più rapida e sicura. Regole
illuminate dall'ispirazione che si concretano in immagini.
Di cui offriamo il giudizio imparziale. Un giudizio chiesto
da molti, anche da Benedetto Riba, che manda la sua "The road
without end" nella speranza che sia pubblicata in Palco e
che invece viene degradata a cavia da editoriale. Una cavia
dura a morire. Altrove sarebbe stata etichettata e archiviata
con giudizio sostanzialmente positivo, in attesa di condanna
alla pubblicazione. Un processo di analisi mediata dalla cultura,
quella dell'autore e quella dell'osservatore. L'osservatore,
in questo caso, si cala nei panni dell'autore, si conforma
alla cultura ispirante, ne approva il frutto cogliendo determinate
sfumature (ottima mascheratura, composizione equilibrata,
eccellente compresenza di stasi e dinamismo, forse un po'
troppo bruciata la strada.). L'osservatore, adottando un comportamento
cortese e savio, cerca di risalire alle intenzioni del fotografo.
E una volta comprese, le asseconda o meno, le approva o le
boccia. A questo livello di analisi non si attribuisce alla
fotografia nulla più di quanto non esprima da sé. Alla foto
di Riba invece - e se anche questa fosse pura finzione letteraria
non importa - conferisco un'anima, in modo del tutto personale
e autonomo. È la presenza del bambino, considerato per la
parte invisibile, cioè il volto in cui inscrivo arbitrariamente
uno sguardo a metà tra la curiosità e la paura per ciò che
si trova oltre una curva neanche troppo accentuata. È molto
più accentuata la curva disegnata dalle pieghe della maglietta,
è il tratto dell'incertezza, dell'adolescente che porti dentro
come dell'adulto che indugia di fronte a una via appena meno
che diritta. Un tratto grafico e uno sguardo solamente ipotizzato,
ed ecco che ci si proietta in un'immagine di sé, vera ieri
e maledettamente attuale. Ma quanto tutto ciò è personale
e in definitiva assai poco condivisibile? Questo è il fascino
della fotografia. Ha sempre un abito conforme alla cultura
di almeno una persona. E di questo si veste per andare in
mezzo alla gente. Ma sotto ha una sostanza, quasi una carica
sensuale, tanto innocente quanto inconsapevole, che colpisce
a caso. Non fa leva su regole codificate, ma sull'urgenza
di un sentimento personale di trovare una concreta raffigurazione
(non è una contraddizione) in un artificio, la fotografia,
che comprima, annientandola, la dimensione del tempo. |