Se
vi dicessero che dalla foto della vostra carta d'identità
si potrebbe ricostruire la storia dei vostri ultimi anni,
segnando ora e luogo del vostro passaggio, e che da quella
piccola foto si potrebbe scoprire chi amate frequentare e
quali sono le vostre abitudini, come vi sentireste? È un traguardo
tutt'altro che fantascientifico. Si raggiunge grazie al computer.
Si tratta di potenziare uno degli strumenti più utilizzati
da chi naviga in internet o da chi semplicemente non sa ritrovare
nel proprio hard disk un determinato documento: il "cerca".
Nel nostro inquietante caso non si tratta di trovare siti
o documenti contenenti una determinata parola, ma immagini
contenenti quel dato volto tra miliardi di foto archiviate.
E con la fantasia si potrebbe anche immaginare un algoritmo
tanto complesso da riconoscere il viso di una persona invecchiata,
ingrassata, divenuta calva, che ha lasciato crescere la barba.
C'è già da tempo qualcosa di simile, ben funzionante, anche
se primitivo al cospetto di quanto immaginato. È un programma
che serve a riprodurre in forma di mosaico un'immagine di
partenza con migliaia di altre fotografie (o tessere) scelte
in un archivio sulla base dei colori e delle forme dominanti.
È la potenza dell'elettronica. Ma questa sarebbe nulla senza
la fotografia. È quest'ultima ad aver rivoluzionato gli stili,
le tecniche e il valore intrinseco delle raffigurazioni della
realtà negli ultimi centocinquant'anni. La fotografia ha restituito
all'immagine il valore magico e religioso che aveva in antichità,
allorché il confine tra il reale e la sua copia era alquanto
vago e attribuire un credito sostanziale ad una icona era
cosa assai normale. La pittura, anche la più realistica, aveva
spinto schiere di filosofi fino alla metà dell'Ottocento a
sancire la netta separazione tra realtà e immagine e a proclamare
la prima come unica degna di vera attenzione. La fotografia,
però, è nata con un'arma in più. Come la definì poeticamente
Fox Talbot, essa è la "matita della Natura". La fotografia
è riuscita a superare i confini dell'ultrapiccolo (la microfotografia)
e le distanze cosmiche (l'astrofotografia), ad abbattere la
barriera del buio (con l'infrarosso) e, come qualcuno ama
sostenere, a vedere l'anima (fotografia kirlianica). Questo
strapotere tecnico è amplificato dall'oggettività del mezzo.
C'è una serie di passaggi tecnici nella ripresa fotografica
che materializzano su un supporto sensibile l'essenza della
realtà. Per certi versi, ma non per tutti, la fotografia ha
poco di umano nel suo riprodurre fedelmente ed infallibilmente
la realtà. Ma per altri versi ha qualcosa di etereo, sovrumano,
magico. In questo, il moderno mondo occidentale non è così
diverso dalle popolazioni tecnologicamente arretrate che attribuiscono
alla fotografia la tanto romanzata capacità di rubare l'anima.
Anche noi attribuiamo un'anima a un ritratto. Ricordo una
nonna baciare la piccola foto di un nipote lontano, con lo
stesso amore con cui lo avrebbe fatto se l'avesse avuto di
fronte in carne e ossa. Forse una foto l'abbiamo baciata tutti,
almeno una volta. E forse qualcuna l'abbiamo anche strappata,
dando a quel gesto un valore ben più forte della semplice
frammentazione di un pezzo di carta. Per quanto struggente
e intenso possa essere il rapporto con un ritratto - che per
le sue sfumature particolari può addirittura arrivare a far
mutare nella memoria il ricordo e l'immagine che la persona
ritratta potrebbe darci dal vivo - questo ruolo della fotografia
come surrogato della realtà è il più elementare e personale.
Ad un più alto livello si pone la fotografia come strumento
di conoscenza. La suddivisione dello scibile in un numero
crescente di immagini che giorno dopo giorno formano un archivio
sempre analizzabile, in modo lineare o incrociato, non solo
ridefinisce la realtà, ma consente un controllo dall'efficacia
spaventosa, utilizzabile con finalità diversissime e non necessariamente
filantropiche. Ecco che la nostra fototessera, che assumiamo
a simbolo del ritratto, adorata come una reliquia o classificata
come un reperto, mostra due aspetti profondamente contrastanti.
Dà a noi, comuni mortali, l'illusione del possesso della persona
ritratta, almeno fino a che non ci rendiamo conto che solo
di un'immagine si tratta. Dà, a chi fa del controllo globale
un mestiere, la certezza di possedere la persona ritratta,
almeno fino a quando il comune mortale non se ne rende conto. |